
PEPOSO ALL’IMPRUNETINA – LA GRANDE CUCINA ITALIANA
LA GRANDE CUCINA ITALIANA – IL PEPOSO ALL’IMPRUNETINA
La cucina italiana, intesa come l’insieme di ricette regionali, provinciali, paesane e familiari, è sicuramente una di quelle che vantano il maggior numero di ricette.
Prima dell’avvento dei supermercati, di internet e dei ricettari di massa, la “tradizione” culinaria era tramandata per lo più verbalmente da madre a figlia. Le uniche ricette scritte erano riservate ai cuochi dei nobili e raramente venivano codificate. Vi basterà sfogliare un vecchio ricettario per scoprire che la ricetta era più una narrazione dedicata a chi conosceva il mestiere, e non una serie di numeri e dosi come invece troviamo oggi. Va da sé che in questo modo la tradizione culinaria era custodita dal sapere di chi effettivamente stava dietro i fuochi. Per quanto riguarda le cucine popolari invece, come dicevamo, le ricette erano tramandate di generazione in generazione e davano origine a “specialità” familiari più che regionali. Attenzione però a non sottovalutare un aspetto fondamentale. Mentre i ricchi potevano permettersi quasi qualunque tipo di ingrediente per deliziare i propri palati, la stragrande maggioranza della popolazione doveva adattarsi con quello che aveva a disposizione, e nella fattispecie quello che produceva personalmente e quello che sarebbe riuscita a scambiare con i vicini.
Ecco perché spesso, quando mi imbatto nelle classiche “risse” da stadio ogni volta che si parla di piatti tradizionali, mi viene da ridere.
Di ogni piatto se ne possono contare decine se non centinaia di versioni differenti, e sancirne una più corretta dell’altra lascia decisamente il tempo che trova.
A meno che, ovviamente, per qualche fortuito motivo non se ne conosca l’inventore o non sia stata codificata.
E anche in questo caso, a livello casalingo, non ci vedo nulla di male nel rimaneggiare una ricetta per adattarla al proprio gusto.
Si mangia per necessità ma, per fortuna, anche per piacere. E chi siamo noi per decidere come e cosa debba mangiare una persona?
Ovviamente a livello di ristorazione il discorso cambia (ma fino ad un certo punto). Se è vero che ad un ristorante non verrebbe perdonata una carbonara con i wurstel al posto del guanciale è anche vero che la varietà, la qualità e la facile reperibilità di ingredienti di livello possono tranquillamente dare luogo a felici e soddisfacenti rivisitazioni dei piatti classici senza tuttavia stravolgerne l’essenza.
Detto questo entriamo in quello che interessa a noi, ossia, cosa c’entra la grande cucina italiana con il barbecue?
Presto detto, il barbecue è una dei sistemi di cottura più antichi del mondo. Tutte le tecniche che noi utilizziamo e che abbiamo codificato, arrivano dalla tradizione. Una volta le cucine funzionavano a legna e carbone e quello che oggi chiamiamo “Low&Slow” veniva già praticato in qualche modo.
Certo, non si parlava di denaturazione proteica, di collagene, tessuti connettivi e via dicendo, ma forse per caso o forse per tentativi, si era già arrivati alla conclusione che tutto ciò che cuoceva a temperature più basse e per tempi prolungati diventava in qualche modo più buono.
Ed eccoci al piatto di cui voglio parlarvi oggi.
IL PEPOSO ALL’IMPRUNETINA
A differenza di quanto detto sopra, di questa ricetta conosciamo la storia e gli ingredienti.
Siamo in Toscana intorno al 1400, forse anche prima, e per la precisione all’Impruneta, un piccolo comune alle porte di Firenze, celebre per la produzione di terracotta.
Qui gli artigiani e gli operai che lavoravano alle fornaci del cotto, prima di iniziare il turno, riempivano un tegame di coccio con carne di bassissimo pregio (quello che potevano permettersi) e ricoprivano il tutto con abbondante vino, molto aglio e pepe in modo da coprire l’odore ed il gusto della carne che spesso era già putrescente. Questa pentola veniva posta vicino alla bocca della fornace e la lunga cottura a bassa temperatura trasformava quei pezzi di carne callosi e cartilaginei in un piatto straordinariamente morbido e saporito oltre che nutriente.
Non si sa se questo piatto nacque per caso o meno. L’origine vera e propria si perde nella leggenda, ma sappiamo che alla fine del 1400 lo stesso Brunelleschi aveva autorizzato la preparazione di questo piatto per gli operai che stavano lavorando alla Cupola di Piazza del Duomo a Firenze.
In pratica forse uno dei primi esempi di “mensa aziendale” dove ai lavoratori veniva offerto un pasto economico e, allo stesso tempo, si evitava che andassero per osterie e tornassero al lavoro ubriachi.
Intorno al 1520 il piatto si diffuse nella zona di Pistoia, grazie agli operai provenienti dall’Impruneta o che avevano lavorato per il Brunelleschi e che vennero a lavorare nelle fornaci per la cottura delle ceramiche invetriate e dei mattoni che erano state create nell’area dell’Ospedale del Ceppo.
Da allora il Peposo, poco conosciuto nel resto d’Italia, continua ad essere cucinato con una ricetta molto simile a quella originale, senza pomodoro che, come sappiamo, venne introdotto nella cucina italiana solamente qualche secolo più tardi.
Alla ricetta tradizionale, che prevede solamente 4 ingredienti, ho apportato una piccola modifica per renderla ancora più semplice e gustosa.
Al posto dell’aglio, che come sapete non amo particolarmente, ho inserito un classico rub SPG in modo da avere tutte le spezie, aglio compreso, già miscelate in un mix armonico pronto all’uso e, soprattutto, di ottima qualità.
RICETTA
1 KG DI POLPA O MUSCOLO DI MANZO O ALTRO TAGLIO DA SPEZZATINO
1 LITRO DI VINO CHIANTI
3 CUCCHIAI DI RUB SPG (io ho utiizzato il BAD ASS SHIT ma viene ottimo anche con il TWO PIG MAFIA STEAK e con il BRISKET SPICE RUB di Franklin)
Tagliate la carne a bocconcini da 3 cm di lato e conditeli con il rub in modo che le spezie si attacchino bene su tutta la carne. Modificate le quantità in base ai vostri gusti ed eventualmente aggiustate di sale.
Coprite il tutto con del buon Chianti e lasciate marinare per 1 oretta.
Nel frattempo accendete la brace in modo da avere un calore medio.
Trascorso il tempo di riposo versate il tutto in un dutch oven capiente, coprite con il coperchio e mettete a cuocere.
Rispetto alle tradizionali pentole in terracotta il dutch oven, grazie al peso del suo coperchio, mi permette di non dover aggiungere ulteriori liquidi durante la cottura e quindi di ottenere sapori molto più concentrati.
Gestite il calore in modo che il liquido vada a leggero bollore e lasciate cuocere per almeno 2 ore (meglio 3) mescolando di tanto in tanto.
Trascorse questo tempo togliete il coperchio e continuate a cuocere per almeno un’altra ora in modo che il vino abbia il tempo di ridursi e trasformarsi in una lucida e profumata cremina e la carne diventi tenera al punto di sfaldatura.
Servite subito con abbondante pane per fare la scarpetta.
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